Degli Economisti premi Nobel, ne parliamo?

PREMESSA

In questo post “Come i Gattopardi: Fuori dall’Euro perchè nulla cambi” ho accennato alla vicenda della strumentalizzazione delle parole dei 7 Economisti premi Nobel.
Certo, adesso verranno etichettati come traditori e “PUD€”.
Chi non è per l’uscita dall’€uro immediata (ma con le premesse che ho già analizzato in quel post e che ormai appaiono consolidate) è PUD€.
Sinceramente, a livello personale, preferisco essere PUD€ – purché l’€uro esca dalle grinfie dei banchieri – piuttosto che No€uro lasciando la nuova moneta nelle loro mani.
Ciò premesso, voglio approfondire la posizione di due di questi economisti, quelli che hanno chiarito meglio la loro posizione con dichiarazione congiunta e, alla fine del post, dovrò pormi una domanda:
Perché Joseph Stiglitz indica la politica di Beppe Grillo come punto di riferimento e non quella dei neo alfieri del “No€uro” e/o dei loro condottieri economisti?
E Perché Nigel Farange (UKIP) apprezza il Movimento 5 Stelle?
Passo ad esaminare le posizioni di Amartya Sen e Joseph Stiglitz

1. Le posizioni di Amartya Sen

Ho trovato una lunga intervista a Sen: http://www.ilgiornale.it/news/cultura/deprimente-che-nel-paese-gramsci-non-ci-sia-unagenda-davvero-876436.html  di cui mi limito a riportare alcuni passaggi semplicemente evidenziando qualche espressione.
Al «Festival delle Scienze» di Roma ha parlato di «Felicità e diseguaglianze». Ma non ha lesinato scudisciate al vangelo europeo dell’austerity. Criticando anche la nostrana sinistra: non pervenuta. Per Sen viviamo tempi tristi perché abbiamo soffocato il nostro bene maggiore: la libertà.

La situazione che stiamo vivendo in Europa è felice?
«Credo che il sentimento prevalente in Europa sia l’infelicità. Non misuro una sensazione soggettiva, registro uno status quo che nega le maggiori libertà umane. Se non trovo lavoro, o se sono malato e non posso curarmi, la mia libertà è impedita. L’infelicità è il corollario, a prescindere da come possano poi sentirsi effettivamente le persone».

Perché siamo arrivati a questo punto?
«Il tracollo europeo nasce da una politica d’austerità fallimentare che ha prodotto l’attuale scenario di povertà e disoccupazione. Lo dico da economista, perché la nostra è una scienza empirica. E una legge fondamentale dell’esperienza è imparare dagli errori. Il regime d’austerity, in vigore da anni, sta conducendo al baratro l’Europa».

E l’Italia? Il termometro dello spread s’è raffreddato, eppure il tasso di disoccupazione non accenna a calare, le attività chiudono…
«Anche l’Italia ha dovuto adottare politiche sciocche. Ma nessun Paese europeo è al riparo dai danni di questa politica deflazionistica. La Germania stessa ne sente gli effetti, poiché le sono venuti meno i mercati per le esportazioni. Sostenendo ciò, mi ricollego a un assioma base dell’economia novecentesca: senza domanda l’economia piange. Dovremmo riattualizzare Keynes».

Dovremmo inaugurare un New Deal europeo?
«Il problema è endemico. Nell’Ue manca una visione politica ragionata abbastanza forte da ergersi a contrasto di quanto è pattuito in sede intergovernativa. Per questo servirebbe una dichiarazione all’unisono di Italia, Grecia, Spagna, Portogallo e in generale di tutti i Paesi vessati da vincoli di bilancio. L’Ue deve lasciarsi alle spalle la controproducente austerità. E va adottato un grande programma di politica economica europea pro sviluppo».

In passato ha espresso contrarietà all’unione monetaria europea. Se non avessimo adottato l’euro adesso staremmo meglio?
«Sono stato contrario all’euro per motivi di tempistica. L’unione monetaria avrebbe dovuto essere adottata dopo l’unione fiscale e politica, non prima di questa. Saltando lo scalino, invece, gli Stati ancora nazionali hanno perso il controllo sulla propria politica monetaria. Creando situazioni ad alta tensione: i tedeschi che accusano i greci d’essere pigri, i greci che accusano i tedeschi d’essere dei Kapò. Non è questa l’unità europea immaginata da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi negli anni Quaranta a Ventotene».

2. Le posizioni di Joseph Stiglitz

Comincio col riportare cosa ne pensa degli economisti accademici da alcune dichiarazioni rilasciate nell’aprile 2012: (http://keynesblog.com/2012/04/24/stiglitz-contro-lausterity-e-la-professione-economica-ma-senza-autocritica/) :
“Gli economisti accademici hanno giocato un ruolo importante nel causare la crisi. I loro modelli erano eccessivamente semplificati, distorti, e trascuravano gli aspetti più importanti. Questi modelli sbagliati hanno incoraggiato i politici a credere che il mercato avrebbe risolto tutti i problemi.”
 Per Stiglitz l’Europa si contraddistingue per eccesso di austerità

“l’austerità di per sé sarebbe sicuramente un disastro. Sta portando a una doppia recessione che potrebbe essere abbastanza grave. Probabilmente peggiorerà la crisi dell’euro. Le conseguenze nel breve termine saranno molto negative per l’Europa. “

E non lesina critiche pesanti a Mario Draghi che ha parlato di fine del modello sociale europeo:

“E’ un’assurdità. La domanda di protezione sociale non ha nulla a che fare con la struttura della produzione. Ha a che fare con la coesione sociale o la solidarietà. Questo è il motivo per cui sono così critico con la tesi di Draghi alla Bce, per cui la protezione sociale andrebbe smantellata. Non ci sono basi su cui fondare un simile ragionamento.

A Maggio 2012, Stiglitz partecipò a un dibattito con D’Alema e Monti (https://www.youtube.com/watch?v=FLaF9c1ZPTQ).

I media dettero pochissimo spazio a quel dibattito e quel poco fu limitato alle parole di Monti a difesa della necessità di rigore e riforme strutturali.

Stiglitz, in effetti, frustò a sangue quella politica:

Nessuna grande economia mondiale, mai, è uscita da una crisi di questo tipo con l’austerità.

L’austerità non funziona, basta guardare ai dati: essa smonta anche i rientri dei bilanci pubblici verso il pareggio.

 In Europa c’è questa follia dove le istituzioni si affidano a regole di contabilità assurde. Nessuno valuterebbe un’azienda soltanto guardando solo al suo livello di debito: se quel debito viene usato per fare investimenti che fanno crescere l’azienda, è un debito benvenuto. Purtroppo nel settore pubblico tutti parlano del debito e non di come questo viene usato. Negli Stati Uniti, vi assicuro, tanta spesa in infrastrutture, in istruzione ha avuto un rendimento maggiore del costo del debito utilizzato per finanziarla.

Potranno pontificare quanto vogliono gli esperti che bisogna avere fiducia per rilanciare la crescita, ma con l’austerità crollano sia la fiducia che la crescita.

Le riforme? Le riforme che servono anche nel breve periodo sono quelle che migliorano la situazione dell’accesso al credito per le piccole imprese e quelle che aumentano il sostegno alle università. Le riforme sono utili, ma hanno bisogno di tempo e, nel frattempo a volte riducono la domanda nel sistema, che già manca. Il mercato del lavoro americano è certamente flessibile eppure ciò non ha impedito che si raggiungesse una disoccupazione del 10%.

In questa crisi non si creano posti di lavoro senza maggiore domanda aggregata. Bisogna fare politiche per il breve periodo. E il breve periodo può durare a lungo se si mantiene l’austerità.

I terremoti accadono. Anche gli tsunami. Non è colpa nostra se accadono. Ma perché a queste tragedie dobbiamo aggiungere dei disastri causati da noi stessi? E’ criminale questa ignoranza di quanto è avvenuto nel passato, l’economia deve essere al servizio della gente, e non viceversa.

Per Joseph Stiglitz esiste una possibilità vera e seria per salvarci ed è una profonda ristrutturazione della politica economico-monetaria cui soggiace l’€uro e individua una sorta di cronoprogramma (http://www.project-syndicate.org/commentary/joseph-e–stiglitz-says-that-the-europe-will-not-recover-unless-and-until-the-eurozone-is-fundamentally-reformed/italian)
“Serve soprattutto una riforma strutturale dell’Eurozona, che al momento sembra necessitare di tali elementi:· Una reale unione bancaria, con una supervisione comune, un’assicurazione sui depositi comune e una risoluzione comune; senza tale unione, il denaro continuerà a passare dai Paesi più deboli a quelli più forti;

· Una forma di mutualizzazione del debito, come gli Eurobond: con il rapporto debito/Pil dell’Europa inferiore a quello degli Usa, l’Eurozona potrebbe contrarre prestiti a tassi di interesse negativi, come succede agli Usa. Tassi di interesse più bassi consentirebbero di liberare liquidità per stimolare l’economia, spezzando il circolo vizioso dei Paesi colpiti dalla crisi, in base al quale l’austerità aumenta il peso debitorio, rendendo il debito meno sostenibile, se si riduce il Pil;

· Politiche industriali in grado di consentire ai Paesi in difficoltà di recuperare terreno; ciò implica rivedere le critiche correnti, che escludono tali politiche, definite come interventi inaccettabili, nei mercati liberi;

· Una banca centrale che si focalizzi non solo sull’inflazione, ma anche su crescita, occupazione e stabilità finanziaria;

· Sostituzione delle politiche di austerità anti-crescita con politiche pro-crescita focalizzate sugli investimenti in capitale umano, tecnologia e infrastrutture.

Gran parte del progetto euro riflette i principi economici neoliberali che prevalevano quando fu ideata la moneta unica. Si pensava che mantenere bassa l’inflazione fosse necessario e sufficiente per la crescita e la stabilità; che rendere le banche centrali indipendenti fosse l’unico modo per garantire fiducia al sistema monetario; che debito e deficit bassi avrebbero assicurato una convergenza economica tra i Paesi membri; e che un mercato unico, con libera circolazione di capitali e persone, avrebbe garantito efficienza e stabilità.

Ciascuno di questi principi si è rivelato errato. Le banche centrali americane ed europee indipendenti hanno registrato performance nettamente più scarse nella fase precedente la crisi rispetto alle banche meno indipendenti in alcuni mercati emergenti leader, perché il loro focus sull’inflazione ha distolto l’attenzione dal problema ben più importante della fragilità finanziaria.

In modo analogo, Spagna e Irlanda evidenziavano surplus fiscali e bassi rapporti debito/Pil prima della crisi. La crisi ha causato deficit e debito elevato, e non il contrario, e le restrizioni fiscali concordate dall’Europa non agevoleranno una rapida ripresa da questa crisi né riusciranno ad evitare la prossima.

Infine, la libera circolazione di persone, così come la libera circolazione di capitali, sembrava avere senso; i fattori di produzione sarebbero andati là dove i rendimenti fossero stati più alti. Ma la migrazione dai Paesi colpiti dalla crisi, in parte finalizzata ad evitare di ripagare i debiti ricevuti in eredità (alcuni dei quali forzati su questi Paesi dalla Banca centrale europea, che insisteva sulla socializzazione delle perdite private) ha svuotato le economie più deboli. E potrebbe anche tradursi in una inadeguata allocazione della manodopera.

La svalutazione interna – abbassando salari e prezzi domestici – non è un sostituto della flessibilità dei tassi di cambio. In effetti, crescono i timori di deflazione, che aumenta la leva finanziaria e il peso dei livelli debitori che sono già troppo elevati. Se la svalutazione interna fosse un buon sostituto, il gold standard non sarebbe stato un problema nella Grande Depressione, e l’Argentina sarebbe riuscita a mantenere l’ancoraggio del peso al dollaro quando scoppiò la crisi del debito un decennio fa.

Nessun Paese è mai riuscito a rilanciare la prosperità con l’austerità. Storicamente, un gruppo molto esiguo di Paesi ha avuto la fortuna di riempire il vuoto nella domanda aggregata con le esportazioni a fronte di una contrazione della spesa pubblica, consentendo loro di evitare gli opprimenti effetti dell’austerità. Ma le esportazioni europee sono cresciute a malapena dal 2008 (malgrado la flessione dei salari in alcuni Paesi, soprattutto Grecia e Italia). Con una crescita globale così tiepida, le esportazioni non rilanceranno presto la prosperità in Europa e in America.

La Germania e altri Paesi del Nord Europa, dimostrando una riprovevole mancanza di solidarietà europea, hanno dichiarato che non dovrebbero essere chiamati in causa per pagare i conti dei dissoluti vicini del Sud Europa. Ciò è sbagliato per molti versi. Tanto per iniziare, i tassi di interesse più bassi conseguenti agli Eurobond o a meccanismi simili renderebbero gestibile il peso debitorio. Gli Usa, va ricordato, sono usciti dalla Seconda Guerra mondiale con un debito molto elevato, ma gli anni successivi hanno segnato per il Paese la crescita più rapida di tutti i tempi.

Se l’Eurozona adottasse il programma sopra delineato, non vi sarebbe alcuna necessità per la Germania di raccogliere i conti altrui. Ma con le perverse politiche adottate dall’Europa, a una ristrutturazione del debito ne segue un’altra. Se la Germania e gli altri Paesi del Nord Europa continuano a perseguire le attuali politiche, potrebbero finire, insieme ai vicini Paesi del Sud Europa, per pagare un prezzo alto.

L’euro avrebbe dovuto portare crescita, prosperità e senso di unità all’Europa. E invece ha portato stagnazione, instabilità e divisione.

Non dovrebbe essere così. L’euro può essere salvato, ma serviranno più che delle belle parole di fedeltà all’Europa. Se la Germania e gli altri Paesi non sono disposti a fare quanto necessario – se non c’è abbastanza solidarietà per far funzionare la politica – allora l’euro dovrà essere abbandonato per il bene del progetto europeo.”

3. Considerazioni personali

A me le posizioni di questi due luminari pare di averle sentite anche altrove.
Sarà ancora una volta quel cialtrone di un comico chiamato Beppe Grillo?
Da ultimo (proprio ieri) Beppe ha aggiunto un post al suo blog. Stavolta sono parole sue, non è un economista palesemente e meramente “ospitato”.
Certo, con i suoi toni e con i suoi metodi, ma mi chiedo se, senza questi toni e senza questi metodi, i media mai parlerebbero di lui.
Il post consiglio di leggerlo direttamente dal blog: L’Italia in mano agli usurai http://www.beppegrillo.it/2014/04/litalia_in_mano_agli_usurai.html

4. La domanda iniziale

Perché Joseph Stiglitz indica la politica di Beppe Grillo come punto di riferimento e non quella dei neo alfieri del “No€uro” e/o dei loro condottieri economisti?
Perché Farange apprezza il M5S?
 
Non lo so, ma proviamo a capirlo insieme.
Era Aprile 2013 quando Joseph Stiglitz ha esternato.
Certo, non era ancora noto che l’accordo fra il Movimento 5 Stelle e il PD non sarebbe mai stato possibile perché – con la benedizione di Giorgio Napolitano – il PD aveva già l’accordo con Berlusconi e tutta la vicenda dell’incontro Bersani-Grillo era una sceneggiata (http://www.lonesto.it/?p=6004) ma è chiaro che considera il Movimento 5 Stelle l’interlocutore attendibile.
Non cito alcun passaggio della esternazione, ma credo sia utile leggerla direttamente http://www.blitzquotidiano.it/beppe-grillo/il-nobel-stiglitz-beppe-grillo-appoggi-1528202/ 
A margine e giusto per completezza. Pare che pure Nigel Farange (UKIP) preferisca il Movimento 5 Stelle a Lega & co. Ci sarà una ragione? (http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/il-grillo-del-tamigi-farage-vincer-le-elezioni-usciremo-dalleuropa-e-saremo-come-la-75695.htm )Twitter @steal61