Questione Tedesca. C’era una volta, ma c’è ancora.

questione tedesca non è solo storia

La questione tedesca. Si studiava in storia. La definizione risale alla seconda metà dell’800. Riesplosa con la prima e poi con la seconda guerra mondiale. Oggi chi ne parla è un complottista. È l’ignoranza indotta. L’ignoranza è la migliore delle armi.

C’è qualcuno – al di sotto dei 35 anni – che a scuola abbia mai sentito parlare di “questione tedesca”?

Probabilmente no.

No, perché altrimenti sarebbe possibile fare similitudini. Traguardare il presente attraverso il passato e verificare come questo sia attuale.

La problematica cominciò a porsi nel 1862, quando Otto Bismarck assunse la guida del Governo prussiano. In soli nove anni (1871), attraverso conquiste militari arrivò alla costituzione – per progressive annessioni – di una grande potenza economico-militare prussiana nel cuore dell’Europa.

Da tenere presente che Bismarck era espressione degli “Junker”, i proprietari latifondisti e non esisteva alcuna corrente filosofica di pensiero democratico, per cui la Prussia nacque sulle basi del “potere dall’alto”, senza alcun bilanciamento. La Prussia e poi la Germania non videro mai spinte democratiche o comunque dal basso come la Francia con la Rivoluzione Francese o l’Italia con i moti risorgimentali.

La smania espansiva tendeva verso Est, verso Ovest e verso Sud. Le trame e le guerre di Bismarck a sostegno della “politica di potenza mondiale” del Kaiser Guglielmo II portarono alla Prima Guerra Mondiale. Partendo da un concetto esteso di “Pangermanesimo1 .

Con “Questione tedesca” si intese proprio la frenesia espansiva e colonialista della Germania di Guglielmo II e del suo “Secondo Reich”. Frenesia da soddisfare a qualsiasi costo.

La sconfitta della Prima Guerra Mondiale costituì la fine del Secondo Reich di Guglielmo, ma non la fine dell’idea di Pangermanesimo e della Questione tedesca

Riesplosero infatti in tutta la loro tragicità nel 1933, quando al potere salì Adolf Hitler che fece del concetto di Pangermanesimo l’elemento centrale della sua propaganda nazista, “sublimandone” il concetto fino a teorizzare l’esaltazione della superiorità della “razza tedesca”. Come la storia ci insegna, anche questa volta la “Questione tedesca” portò a una guerra mondiale.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale si pensò di aver risolto il problema per sempre con la divisione delle due Germanie.

La storia ci consegna che così non fu. Nel 1989 il muro di Berlino è stato abbattuto e la Germania riunificata.

Sarebbe più corretto dire che si è trattato di “annessione” a tutti gli effetti.

La storia dell’unificazione della Germania è entrata nell’immaginario collettivo attraverso le immagini di due notti. La prima è quella del 9 novembre 1989, in cui cadde il muro di Berlino. La seconda, quella del 1° luglio 1990, quando – allo scoccare della mezzanotte – folle di cittadini della Germania Est si precipitarono in banca per cambiare i loro marchi in marchi dell’ovest. Questa seconda notte ha come simbolo le foto dei tedeschi orientali che sventolano con gioia i marchi dell’Ovest di cui sono appena entrati in possesso. E una frase pronunciata dal grande vincitore di quella giornata, il cancelliere tedesco Kohl: «A nessuno andrà peggio di prima, a molti andrà meglio». 2

La dichiarazione di Kohl mi pare molto simile a quella di Romano Prodi: “Lavoreremo un giorno in meno e guadagneremo come avessimo lavorato un giorno in più“. E infatti l’ex RDT è stata oggetto del progressivo saccheggio. L’industrializzazione segna -67% rispetto al 1989.

Per non parlare delle “privatizzazioni”

su enorme scala condotte in dispregio di tutte le più elementari regole per privatizzazioni ben fatte, a cominciare dal rifiuto del meccanismo dell’asta a beneficio del meccanismo della trattativa privata; potenziali acquirenti di imprese di grandi dimensioni di cui non si verificava né la fedina penale né le attività svolte in precedenza; la ripetuta complicità dell’ente privatizzatore con gli acquirenti tedesco-occidentali nello scoraggiare investitori esteri; funzionari incapaci, in conflitto d’interesse o collusi con gli acquirenti; una totale copertura sia finanziaria che legale per il loro operato da parte dello Stato, ma nessun controllo efficace; atti segretati senza alcun valido motivo; truffe su larga scala; e, dulcis in fundo, una giustizia singolarmente benevola nei confronti di colpevoli di sperpero del danaro pubblico e di malversazioni su vasta scala.
Quanto agli effetti delle privatizzazioni, essi sono stati invariabilmente un rafforzamento del potere di oligopolio delle grandi imprese dell’Ovest, che sono riuscite a eliminare concorrenti reali o potenziali, a ottenere che fosse distrutta altrove capacità produttiva così da poter utilizzare in pieno ed eventualmente accrescere (preferibilmente all’Ovest) la propria, e nel migliore dei casi a trasformare imprese indipendenti in loro succursali operative e centri di assemblaggio di prodotti. 2

Schäuble, durante le trattative con la RDT disse: «Cari signori, si tratta di un ingresso della Rdt nella Repubblica Federale, e non del contrario… Non si tratta di un’unione tra pari di due Stati»

Annessione, quindi. E in cosa si differenzia l’annessione della Germania EST alla Germania Ovest rispetto a ciò che accade in Europa?

Diamo una occhiata alla Grecia e le “privatizzazioni” imposte dalla Germania.

In realtà di cessione gratuita si tratta. Cedere 14 aeroporti per 1,2 miliardi di Euro, significa che in media ciascun aeroporto è stato ceduto per € 85.714.285,71. Anche a voler prescindere che si tratta degli aeroporti più redditizi (turisticamente rilevantissimi) 85 milioni di Euro non è neppure il valore degli arredi di un aeroporto.

È poi noto che ad acquisirli  (continuo ad evitare i termini “vendita” e “acquisto” perché impropri) è stata una partecipata statale dello Stato Federale tedesco dell’Assia, la Fraport.

Se per i Paesi che vengono depredati con la complicità dei rispettivi Governi “privatizzare” è imperativo, il Paese che impone questo imperativo ne approfitta per annettere beni al proprio patrimonio pubblico.

Assistiamo alla progressiva deindustrializzazione di Paesi che un tempo erano competitivi. Assistiamo alla imposizione dei modelli economici tedeschi come esaltazione della superiorità tedesca. Non siamo in presenza di un “Pangermanesimo economico”?

In cosa differisce dall’«Anschluss»?

Non è forse l’attuazione del “Piano Funk“?

Dobbiamo prenderne atto per reagire. Dobbiamo comprendere che parlare di “Questione tedesca” nel 2015 non significa cedere alle teorie del complotto, significa semplicemente osservare i fatti e riconoscere che esiste una nazione che non ha mai abbandonato il suo sogno di Pangermanesimo.

Dobbiamo prendere atto che esiste una nazione che affonda le sue radici in un governo del grande capitale e che non ha mai conosciuto spinte democratiche. Solo espansionistiche.

Dobbiamo prendere atto che la “Questione tedesca” è presente e attuale. Più tragica che mai


1 Aspirazione a unificare tutte le popolazioni di lingua tedesca sotto una unica corona . 
2 Vladimiro Giacché “Anschluss: l ‘annessione.” – Imprimatur editore – 2013