Traffico di armi e attacco a Parigi. Chi li addestra e arma?

terrorismo e traffico di armi

Il traffico di armi. L’Europa e l’Italia in prima linea nell’alimentare dissidi e nell’armare illecitamente i gruppi in lotta.

Che c’entra con gli attacchi terroristici a Parigi? C’entra eccome. Riporto la notizia di una agenzia:

Tanti sopravvissuti alla carneficina concordano con il fatto che i terroristi hanno agito «da professionisti». «Sparavano con gli Ak47 a colpo singolo, 3-4 alla volta, tutti ben mirati, sembravano soldati delle forze speciali», racconta un testimone al Guardian. E raccontano: «Erano tutti molto giovani, avevano meno di 25 anni»

Ora chiediamoci chi li arma e chi li addestra. E non lasciamoci fuorviare dalla nazionalità di fabbricazione delle armi.

Qualcuno sa che fine hanno fatto le armi che abbiamo inviato “per combattere l’ISIS”? Se avessero usato un kalashnikov, sicuro che non era uno dei trentamila che abbiamo fornito noi?

E queste sono le forniture “ufficiali”. Forniamo armi ai “ribelli moderati” se poi finiscono in mano ai ribelli “estremisti” … ops!

C’è poi l’enorme mercato del traffico di armi.

In Italia la strada del traffico di armi è lastricata di sangue, stragi, silenzi e depistaggi.  

Il 26 settembre 1988 venne ammazzato Mauro Rostagno.

Ex “Lotta Continua”, tirato dentro gli omicidi Calabresi-Pinelli e prosciolto. Da un anno e mezzo lavorava a Tele Radio Cine, a pochi chilometri da Trapani da dove indagava e denunciava mafia e mafiosi.

Da sette anni circa aveva fondato la comunità “Saman” insieme a Francesco Cardella e alla sua seconda moglie, Chicca Roveri.

Relativamente al suo assassinio, una delle ipotesi prese in considerazione e tralasciata fu proprio il traffico di armi per via di alcune video cassette che aveva registrato in una vecchia pista militare vicino Trapani, in contrada Castelluzzo. Aveva videoregistrato aerei che caricavano armi.

Mi soffermo sul caso Rostagno perché tra i tanti, è quello “perso” nella memoria 1.

Nel 1987 a Trapani era stata costituita una base logistica del Sismi denominata «Skorpio». Venne chiusa pochi mesi dopo il delitto Rostagno. Pare dipendesse ufficialmente dalla VII Divisione del Sismi. Secondo alcuni organi di informazione, era il punto di riferimento delle cellule Gladio dell’Italia centro-meridionale. Disponeva, fra l’altro, di un aereo biposto Ultralight con autonomia di volo di due ore utilizzando proprio l’aeroporto situato nelle montagne di Castelluzzo. Una posizione ideale per evitare di essere captati dai radar.
A proposito di questo aeroporto, il giornalista Aldo Virzì scrive: «Sembra che fosse questa la zona dove con più intensità la mafia ha operato “con sicurezza” il suo traffico di armi e di droga». Una tesi confermata dal pentito della mafia italo-americana Joe Cuffaro: «Noi quella pista la conoscevamo bene, vi atterravano i nostri aerei».

A coordinare l’attività di «Skorpio» era designato il colonnello dell’esercito Paolo Fornaro, toscano, già collocato in pensione e richiamato «in servizio» dal Sismi. Secondo la giornalista Cinzia Bizzi: “Fornaro era molto vicino al generale Paolo Inzerilli e a tutta quella sorta di super Sismi creato agli inizi degli anni Settanta da Santovito, Musumeci e Francesco Pazienza, un gruppo legato alla P2 e ai servizi segreti americani”.

Alcuni mesi dopo, l’ufficiale viene sostituito, per ragioni sconosciute, dal maresciallo dei carabinieri Vincenzo Li Causi, ottimo conoscitore della zona e figura di primissimo piano all’interno del Servizio segreto militare, dove è entrato a soli ventidue anni.

Una pista in “multiproprietà”, quindi. Divisa fra mafia, P2 e Servizi Segreti.

Ho già citato il cofondatore della “Saman”, Francesco Cardella. Aggiungiamo un altro tassello: Giuseppe Cammisa detto «Juppiter», guardia del corpo di Cardella e presente nella comunità Saman nel periodo della morte di Rostagno.

Il pentito Rosario Spatola lo indica come persona «pericolosa». Lo stesso Spatola dichiara che «avrebbe voluto utilizzarlo […] per un attentato contro il maresciallo dei carabinieri Pietro Noto». Cammisa, secondo la testimonianza di Gianni Di Malta (prima operatore di Rtc, poi coordinatore di Saman), lo ritroviamo in Somalia «per conto di Cardella, con un quantitativo di medicinali».

Una inchiesta giornalistica svolta dal settimanale «il Borghese» svela di «un viaggio compiuto dalla giornalista Ilaria Alpi a Malta per acquisire dati e carte sul ruolo della Comunità Saman, di Francesco Cardella di Giuseppe Cammisa nel traffico d’armi con la Somalia e i carabinieri fanno trapelare un altro inquietante elemento-chiave: l’ultima persona che incontrò la Alpi a Mogadiscio fu proprio Cammisa. L’ha scoperto nelle sue indagini il giornalista del Tg3 Maurizio Torrealta».

Secondo «il Borghese», a rivelare questi particolari clamorosi è Karl Stagno Navarra, giornalista maltese dell’«In Nazjon», il quale svela anche di avere incontrato Ilaria Alpi.

«Mi disse», dichiara Stagno Navarra, «che stava indagando su un tale Cardella e su un tale Cammisa, e che Malta era la centrale dei loro affari […]. Quindi lei mi domandò se avevo mai sentito parlare di una nave chiamata “21 Oktobar II” […]. Era la copertura di un traffico di armi tra Italia e Paesi africani, in particolare la Somalia. Ilaria volle anche sapere se a Malta esistesse una inchiesta su un sospetto traffico di bambini somali verso l’Italia». Il giornalista maltese afferma di aver saputo «da fonti locali che Cardella avrebbe trattato l’acquisto della “21 Oktobar II” per alcuni viaggi in Africa. È proprio una delle navi donate dalla Cooperazione italiana alla compagnia superinquisita italo-somala Shifco, il cui titolare, Omar Said Munye, era al centro delle ricerche giornalistiche di Ilaria. La Alpi sospettava che questo Munye utilizzasse le imbarcazioni per importare scorie tossiche e armi dall’Italia alla Somalia».
Particolari che sembrano legarsi con una segnalazione della Guardia di Finanza di Trapani alla Procura della Repubblica: «Da dati informativi assunti tramite il comando generale, è risultato che il signor Cardella viene indicato come l’effettivo proprietario del “Pauvre Vieux” e che detto natante sarebbe stato utilizzato in traffici illeciti di varia natura, non essendo escluso il trasporto di clandestini arabi ed egiziani».

Ho scritto in grassetto il nome della 21 Oktoobar II (poi sotto bandiera panamense col nome di Urgull) perché il 10 aprile 1991 si trovava nel porto di Livorno, nel teatro della tragedia del Moby Prince su cui recentemente è stata istituita una commissione bicamerale di indagine.

Il traghetto Moby Prince ebbe la sfortuna di salpare mentre nel porto di Livorno si verificava un intenso traffico di armi in uscita dalla base USA di Camp Darby. Un articolo per “rinfrescare la memoria”.

Una cosa è accertata: Quella notte non c’era nebbia. E tra l’altro, per come descritta nella richiesta di archiviazione del 2010, la nebbia sarebbe stata tanto strana da andare contro vento. Quella notte troppe navi non erano registrate dall’Avvisatore marittimo. Quella notte le frequenze radio erano estremamente disturbate. Quella notte la Moby Prince bruciò nel porto di Livorno senza che nessuno se ne accorgesse e portasse aiuto.

Alla Shifco di Munye e alla sua flotta donata dalla cooperazione italiana nel 1999 venne poi data in concessione la commercializzazione di pesce con l’Europa dal Commissario Europeo Emma Bonino, così il traffico di armi poteva svolgerlo “con licenza”.

Il filo rosso che unisce questi casi è dato da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e dalle loro inchieste sul traffico di armi per cui morirono assassinati il 20 marzo 1994 a Mogadiscio.

Furono assassinati, in un agguato organizzato dalla Cia con l’aiuto di Gladio e servizi segreti italiani, perché avevano scoperto un traffico di armi gestito dalla Cia attraverso la flotta della società Schifco, donata dalla Cooperazione italiana alla Somalia ufficialmente per la pesca. In realtà, agli inizi degli anni Novanta, le navi della Shifco erano usate, insieme a navi della Lettonia, per trasportare armi Usa e rifiuti tossici anche radioattivi in Somalia e per rifornire di armi la Croazia in guerra contro la Jugoslavia. (fonte)

Abbiamo visto che la 21 Oktoobar II adesso batte bandiera panamense col nome “Urgull”.

Anche il “Lucina” ha cambiato nome e bandiera. Varata nel 1975 nei cantieri Frederikshavn, in Danimarca,  ha avuto molti nomi e per questo motivo è stato spesso difficile ricostruire i suoi movimenti. Codice IMO 7358690, all’inizio si chiamava Mogens S, poi diventò Lucina e poi ancora Pepito. Oggi batte anch’essa bandiera panamense e si chiama chiama Joanne 1.

Il mercantile Lucina per il traffico di armi e scorie radio-attive

I due testimoni Giovanni Utzeri e Antonio Cuccu, vedendo la fotografia del mercantile Lucina non avevano avuto alcun dubbio. Infatti dissero subito senza esitazioni: “E’ la stessa nave che si trovava a Feraxi la sera in cui fu abbattuto l’elicottero”. Una nave che in zona tutti conoscevano molto bene. “Sì – hanno detto infatti i testimoni – non era la prima volta che si fermava nella rada a nord di Capo Ferrato”.

E tutti concordano nel raccontare alcune stranezze. Prima di tutto il fatto che durante il giorno il mercantile sembrava deserto. In coperta non c’era mai nessuno. La notte, poi, le luci restavano spente. C’è infine un particolare molto significativo: la linea di galleggiamento del mercantile si abbassava ogni giorno. Come se qualcuno, durante la notte, caricasse qualcosa a bordo.

La chiave del mistero è dunque in quella nave. Una nave con una storia terribile: la Lucina si porta infatti addosso una tragica eredità di sangue. Nella notte tra il 5 e il 6 luglio del 1994 i sette uomini dell’equipaggio vennero sgozzati nel porto di Djendjen, in Algeria. La tesi ufficiale, cioè quella di un massacro organizzato dagli estremisti islamici, non ha mai convinto molto. Ma la verità su quella carneficina resterà molto probabilmente sepolta per sempre. E’ sfuggita dieci anni fa in un processo bruciatosi in appena due giorni ad Algeri e conclusosi con una sentenza che a tutti è apparsa “politica”. (fonte)

L’elicottero di cui si parla nella citazione è “Volpe 132”, abbattuto, con due uomini della Guardia di Finanza a bordo mentre in fase di pattugliamento aveva individuato qualcosa di strano relativamente al Lucina. Era il 2 Marzo 1994. Davanti al poligono missilistico di Salto di Quirra. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin che indagavano sullo stesso traffico di armi, vennero uccisi 18 giorni dopo. La mattanza dell’equipaggio del Lucina dopo quattro mesi.

Ancora una volta nessun radar ha registrato nulla, neppure Monte Codi. La vicenda di Volpe 132 è stata archiviata come “incidente”, ma stranamente è stato apposto il Segreto di Stato.

Ancora una volta le basi militari in connubio fra mafia e servizi segreti. Cosa aspettarci da Sigonella?

L’Italia con Finmeccanica è fra i primi produttori di armi. Dobbiamo pur venderle, no?

Non si possono esportare armi verso determinati Paesi, dice l’ONU. Il traffico di armi mediante “triangolazioni” consente di aggirare il divieto.

Il traffico di armi si sviluppa su due direttrici. Armi importate (sopratutto dall’est, Paesi ex URSS) e armi di nuova produzione italiana.

Già, perché sarebbe imbarazzante se i terroristi utilizzassero “Beretta” ultimo modello. Ai “terroristi moderati”, quelli “demoratici” che “in nome della libertà vogliono abbattere Assad” è meglio far pervenire armi “Made in Altrove”, così se venisse utilizzato un razzo Katiuscia a fini terroristici i media direbbero solo “di produzione russa”.

Li abbiamo armati. Li abbiamo addestrati. Adesso siamo impotenti. Non potremmo dare spiegazioni se contrastassimo l’azione anti-ISIS che stanno conducendo la Russia, l’IRAN e la Siria.

Russia, Syria, Iran, Iraq, con Hezbollah stanno distruggendo gli “investimenti” dell’ovest nell’armare e addestrare le “milizie per procura” e l’Ovest non può intervenire in loro difesa. O forse adesso si. Adesso al grido “Tutti a bombardare l’ISIS in Siria” potremo difendere i nostri “investimenti” e cacciare Assad. Questo è l’obiettivo, no? Che ci frega dell’ISIS, in fondo?

Aspetto i risultati di questi attacchi a Parigi, anche se temo di immaginare quali saranno:


1 Le informazioni sul caso Rostagno da: Luciano Mirone “Gli Insabbiati” – Castelvecchi