Il Registro delle Imprese prende il volo come le infrastrutture?

zcVYnplgPUzz2hfOJ6PVKIDb9FSDeqBWJUflyqfRYTc=--renzi_madia

L’accanimento di Matteo Renzi contro le Camere di Commercio: Requisisce il Registro delle Imprese, ma il Ministero non ha strutture e professionalità per gestirlo.

Alcune notizie di stampa mi inducono a riprendere il discorso sulla riforma delle Camere di Commercio

A quanto pare, infatti, gli unici che trovano necessaria, più che opportuna, la soppressione delle Camere di Commercio, che di fatto diventa inevitabile con il trasferimento del Registro Imprese al Ministero dello Sviluppo Economico, sono i vertici di Confindustria.

Sottolineo “i Vertici”, in quanto la riforma così come la vorrebbe realizzare il Governo Nazionale, nelle realtà territoriali di Confindustria, non è pienamente condivisa,  Fermo, fra altre:

Non si contano le proteste di tutte le altre associazioni di categoria, ma anche di imprese in modo singolo o associato.

Inoltre, caso credo unico nella storia, scendono in campo le Forze dell’Ordine per bocca di Francesco Cirillo Vicecapo della Polizia e direttore centrale della Polizia criminale, ma sopratutto, CGIA Mestre ha valutato che l’impatto recessivo dell’abbattimento di 400mln di Euro del Diritto Annuale a fronte di un risparmio per impresa mediamente pari ad euro 60 (!) all’anno, conseguente alla previsione legislativa di cui al D.L. n. 90 /2014, attualmente in conversione, l’impatto indotto sull’economia nazionale corrisponde a 2,5 miliardi di Euro, ossia lo 0,25% di PIL

Niente male per degli Enti inutili, eh? Considerato, peraltro, che proprio ieri ISTAT ha diffuso le stime preliminari del secondo trimestre 2014 dichiarando che l’Italia è in recessione tecnica.

Il Pil nel secondo trimestre 2014 risulta ancora negativo, -0,2% rispetto al trimestre precedente, quando aveva segnato un -0,1%. Su base annua, invece, -0,3%.

L’abbattimento del diritto annuale delle Camere di Commercio e il trasferimento al Ministero del Registro delle Imprese, è quindi quell’elemento che, senza oneri a carico dello Stato, segna la differenza fra un PIL a -0,3% e un PIL a -0,55%.

La Ministra Madia ha dichiarato in conferenza stampa

“Non so quanti risparmi porterà il ddl delega di riforma della P.a. e sono contenta di non saperlo, perché l’impostazione non è di spending review: non siamo partiti dai risparmi”

Il che, quindi, significa che non è stata fatta alcuna valutazione economica dell’impatto della riforma, perché così funziona

“se la politica è ben pensata”

Lascio a chi legge la valutazione. Una politica ben pensata è una politica che fa le cose senza avere uno straccio di valutazione d’impatto?

E a riprova di quanto sia ben pensata questa politica c’è un’altra chicca. Nella scheda tecnica di Analisi di impatto della regolamentazione si legge:

“Tra le principali criticità che il provvedimento mira a superare, vi sono: … . la obsoleta organizzazione delle Camere di Commercio”

Beh, strano che Renzi e la Madia abbiano questo concetto antitetico con la realtà.

Luciano Hinna, docente di Economia delle aziende pubbliche all’Università di Roma Tor Vergata è di parere diametralmente opposto:

Il sistema camerale, posizionandosi da sempre sulle esigenze si trova costantemente un attimo in anticipo quando arriva il momento di ap­plicare le norme. La cosa non è di poco conto anche se sfugge a chi guarda le Camere di commercio con superficialità dall’esterno. Per onestà va detto che, a differenza di altre Pa, dispongono di risorse finanziarie dedica­te, ma sta proprio nel dedicare risorse a pro­getti innovativi la scelta gestionale vincente che a sua volta poggia su due leve potenti: la formazione e il meccanismo del fondo pe­requativo che, finanziando progettualità di sistema, consente una solidarietà tecnica an­che per le Camere più piccole, meno ricche e meno strutturate.

L’analisi di Le Camere di commercio per una se­rie di fattori e con tutti i distinguo legati alla dimensione, ai meridiani e paralleli tecnici e culturali, tendono a collocarsi quasi sempre tra i pionieri e le avanguardie. Limitandoci alle ultime stagioni normative si può tran­quillamente affermare che è stato così per la gestione della performance, per la trasparen­za, per l’adozione di strumenti per la lotta alla corruzione: le tre grandi riforme degli ultimi cinque anni. Su questi temi le Camere di commercio hanno fatto scuola tanto che la stessa Civit, oggi Anac, attraverso conve­zioni ed accordi ha utilizzato le (best) practice delle Camere per offrire spunti operativi ed esempi ad altre amministrazioni.

In sintesi, sembra proprio di poter affermare che le “Ragioni della riforma”, quindi, sono proprio quelle che dovrebbero porre le Camere di Commercio a modello dell’intero sistema delle Amministrazioni Pubbliche.

E allora, se questa riforma “storica” delle Camere di Commercio non trova alcun fondamento né logico, né economico né, tanto meno, nei presupposti, a chi e a che serve, allora?

Tutto sembra partire da una lettera che il presidente di Confindustria,  invia al Presidente del Consiglio, esprimendo considerazioni di generica insoddisfazione nei confronti delle attività delle Camere di Commercio e delle loro governance, sino alla richiesta, in caso di percorso di riforma difficile, della soppressione dell’intero sistema camerale, e guarda caso citando esplicitamente, tra le potenziali funzioni delle Camere di commercio da riallocare, solo ed esclusivamente la tenuta del Registro Imprese.

Ma c’è da chiedersi:

Se Renzi, notoriamente efficiente nell’individuazione e attuazione delle soluzioni “utili” al nostro Paese, e spesso critico nei confronti di Confindustria, non avesse già avuto nei suoi programmi tale “operazione” sulle Camere di Commercio, si sarebbe piegato al volere dei vertici di Confindustria?

STANDO COSI’ LE COSE, A COSA E A CHI SERVE TUTTO QUESTO? QUAL’E’ L’INTERESSE IN GIOCO? QUALI GLI OBIETTIVI?

AVANZIAMO DELLE IPOTESI Con il taglio del Diritto Annuale (taglio peraltro sperequativo perché mette alcune Camere di Commercio – vedi quelle della Sicilia che fungono anche da enti previdenziali per una serie di vicissitudini legislative della Regione Siciliana – in una condizione diversa dalle altre), si mettono le Camere di commercio nella condizione, quasi generalizzata, di non poter sopravvivere, se non per alcune limitate funzioni e sempre che vi sia un trasferimento dallo Stato e quindi a carico della collettività.

CONSEGUENZE

Le Camere di Commercio nonostante proprietarie di patrimoni consistenti composti da immobili, liquidità, titoli azionari e, soprattutto, partecipazioni nelle infrastrutture aeroportuali, non potrebbero più sopravvivere a lungo, e il loro patrimonio, automaticamente incamerato dal Governo Nazionale, verrebbe probabilmente svenduto.

Su ordine di Michael Ledeen, in pole position c’è Eurnekian l’argentino, e verrà così sottratto al sistema produttivo italiano una ricchezza immensa oltre che uno strumento di sviluppo dell’economia: FACILE INVESTIRE IN ITALIA A QUESTE CONDIZIONI!

Con la soppressione del Registro Imprese e il suo trasferimento al Ministero che, com’è noto, non ha le risorse, le strutture e le professionalità adeguate, l’impatto sulla possibilità di sopravvivenza delle Camere di Commercio sarebbe ancora più devastante perché determinerebbe la chiusura immediata della maggior parte di esse, privando il territorio sia del registro delle Imprese, sia degli altri servizi erogati dalle Camere attive nelle relative circoscrizioni.

Sottolineando che il Ministero non ha né le strutture, né la capacità tecnica per gestire il Registro Imprese, per non parlare della territorialità, a che pro questa “espropriazione”?

E quindi … anche sul Registro Imprese volteggiano gli avvoltoi (nel senso propriamente detto degli Hedge Fund)?

Strani movimenti negli ultimi 18 mesi si registrano intorno alla posizione di CERVED Group S.p.A., che espleta l’attività di “Agenzia di informazioni commerciali”.

CERVED nasce nel 1974 come centro dati delle Camere di Commercio del Veneto. Pian piano, tutte le Camere d’Italia, che nel frattempo si erano singolarmente organizzate, vi aderirono per ottenere economie di scala, realizzando così il primo caso di registro anagrafico unico nazionale (a quel tempo, il Registro delle Ditte).

Nel 1992, una delibera dell’antitrust impose la separazione netta dell’attività gestionale ad uso delle Camere dall’attività commerciale di vendita dei dati.

Si realizzò, quindi, la scissione totale di CERVED (che rimase come operatore nel mercato dei dati) da InfoCamere la società consortile delle Camere di Commercio per la gestione dei database e degli applicativi software.

Questa struttura fortemente innovativa nella unicità del dato disponibile in tempo reale sul territorio nazionale, suggerì, all’atto della costituzione del Registro delle Imprese, la sua attribuzione alle Camere di Commercio, visto che i Tribunali erano ancora alle pandette cartacee.

CERVED, quindi, è una società privata che opera nel libero mercato, mentre InfoCamere rimane da sola a gestire l’informatizzazione delle Camere di Commercio e la cessione dei dati grezzi a tutti i distributori ufficiali, fra cui CERVED.

Riepilogando, se il Governo Renzi approva il disegno di legge delega sulla riforma della Pubblica Amministrazione, comprendendo anche l’espropriazione del Registro delle Imprese,  non c’è dubbio che bisognerà subito affidare a qualcuno la gestione del registro stesso.

Affidare a CERVED la gestione del Registro delle Imprese, quindi, troverebbe la sua “giustificazione formale” nella sua storia, nonché nell’urgenza di garantire la necessaria continuità operativa del Registro delle Imprese: è la trascrizione nel Registro delle Imprese, infatti, che attribuisce valore legale agli atti delle imprese. Ciò che non è trascritto nel Registro delle Imprese, semplicemente non esiste.

Ora, CERVED è controllata al 100% – attraverso una holding lussemburghese (Chopin Holding) – dal fondo CVC Capital Partners, con sede centrale in Inghilterra e filiale in Italia.

CERVED, però, è rimasta strettamente legata alle sue banche dati “storiche” (quelle delle Camere di Commercio e che adesso acquista da InfoCamere), Registro delle Imprese “in primis”.

L’84% dei ricavi, infatti, deriva da informazioni “finanziarie” sulla solidità delle imprese e sui loro profili finanziari.

In CVC vanno orgogliosi di CERVED. Sul suo sito si legge

Cerved provides credit and business information to over 30,000 clients, including 90% of Italian banks and over 80% of Italy’s top 1,000 companies. Cerved has the most comprehensive database of corporate information in Italy, including corporate and financial details, payment history, customer and supplier relationships, and proprietary information

In una sola frase, tutto ciò significa: CERVED ha il Registro delle Imprese.

Le sorti di CERVED sono, quindi indissolubilmente ancora strettamente legate al Registro delle Imprese.

È, perciò, assai strano che, proprio mentre Renzi con le sue prime slide comunicava che intendeva rendere l’iscrizione al Registro delle Imprese facoltativa, il 2 aprile 2014 Cerved presentava a Borsa Italiana la domanda di ammissione a quotazione delle proprie azioni.

Il Registro delle Imprese, se si consentisse una “discrezionalità” nell’iscrizione, non avrebbe più la stessa valenza, lo stesso valore di mercato

Ma evidentemente c’era chi sapeva che quella di Renzi era una “boutade”.

Se Renzi ne fosse stato davvero convinto non avrebbe ascoltato alcuna voce della ragione (come fa in genere).

CERVED si quota in borsa, invece, con una condizione finanziaria non proprio floridissima e il 19 Giugno aveva una offerta “coperta” (il debutto ufficiale sarebbe poi stato il 24 Giugno) pari al doppio del pacchetto di 84 milioni di titoli.

Al 31 marzo scorso Cerved mostrava un patrimonio netto totale di 371 milioni di euro e un debito finanziario netto di 730 milioni (l’indebitamento adjusted che comprende anche oneri accessori ai finanziamenti sale a 757 milioni circa), mentre nell’ultimo quadrimestre dello scorso anno, nel giro di una settimana ha attivato quattordici fra uffici e filiali in tutta Italia.

L’Offerta Pubblica Iniziale (IPO), infatti, serve a pagare anticipatamente una delle serie di obbligazioni che CERVED ha emesso.

I soldi raccolti da Cerved con l’aumento di capitale in sede di IPO, infatti, serviranno a rimborsare i 250 milioni di euro del bond a scadenza 2019 a tasso variabile  (euribor 3 mesi più 537.5 punti base) al prezzo di 101, come previsto dal regolamento in caso di rimborso anticipato. Restano in circolazione obbligazioni con scadenza al 2020 e al 2021.

CVC Capital Partners, tramite Chopin Holdings sarl, resterà azionista della società anche dopo la quotazione, con una partecipazione, in caso di integrale sottoscrizione delle azioni oggetto dell’offerta, pari al 56,9% del capitale sociale (oppure al 50,8% a seguito dell’eventuale esercizio integrale della opzione greenshoe su 12 milioni di azioni).

Il titolo Cerved non resiste alle perdite di Piazza Affari e già il primo giorno cede lo 0,88% attestandosi a 4,728 euro, nonostante Kepler-Cheuvreux abbia avviato (e continui fino ad oggi ad avviare) la copertura con un rating buy e un prezzo obiettivo a 6,10 euro.

Il giudizio dei mercati e degli analisti, sembra non subire alcun contraccolpo dalle incertezze relative al Registro delle Imprese che costituisce la base sostanziale ed essenziale dell’84% degli introiti di CERVED.

Tant’è che Aviva Investors e Pictet Asset (altri due colossi, in termini di Hedge Fund) sono entrati nel capitale di CERVED rispettivamente con il 3,956% e il 2,765%, secondo le comunicazioni Consob.

Ora, a meno di voler pensare che le Piccole Suore della Carità di Madre Teresa di Calcutta abbiano preso a gestire borsa e mercati, qui qualcosa non torna.

Anche perché, CVC Capital Partners non è nuovo alle banche dati italiane. Possiede già SEAT (Pagine bianche e pagine gialle).

Adesso CVC Capital Partners è interessato ai negozi di “Grandi Stazioni”. L’azienda (al 60% di Ferrovie dello Stato) che gestisce la Stazione di Milano Centrate e Roma Tiburtina, infatti, starebbe per scorporare “Grandi Stazioni 2”, per le redditizie attività commerciali. A “Grandi Stazioni 2” sarebbe interessato CVC che potrebbe acquisirne il 100% entro l’autunno

Già che qualcuno me lo ha segnalato, mi pare giusto accennare al fatto che CVC Capital Partners non è per niente inviso a Matteo Renzi, anzi.

In una “querelle” fra il Governo spagnolo e la CVC (in fase di acquisto della spagnola Deoleo, che possiede i marchi italiani Bertolli, Carapelli, Sasso, San Giorgio e Montolivo), Renzi ha deciso di “parlare col suo amico Raioy”, in quanto

Se ha vinto un fondo inglese evidentemente è perché ha fatto l’offerta migliore

Come potrebbe, d’altro canto, avere la benché minima avversione? Non si sarebbe circondato di amici e consulenti come Yoram Gutgeld (fino al marzo 2013 senior partner di McKinsey) o Davide Serra (hedge fund Algebris dopo vorticosa scalata di carriera in Morgan Stanley)

E poi, la svendita dell’Italia a pezzi è nel programma di Governo già da Monti e continua fino ad oggi.

Il video che segue lo avevo già inserito in altro articolo, ma … “repetita iuvant”.

AVVISO: il video è per stomaci forti e con antiemetico a portata di mano

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=o0M1P1ma16c]

Alla luce di tutto questo, la domanda continua ad essere. Deve anche il Registro delle Imprese prendere il volo verso l’estero come sta accadendo per gli aeroporti e le altre infrastrutture?